Il bello e il brutto del mondo
Trascorso qualche giorno di vacanza in Portogallo, tra città e oceano, in compagnia di amici e buon cibo, guardo dall’aereo la bellezza di Lisbona al tramonto. Improvvisamente, il pensiero degli orrori delle guerre in corso mi assale e mi sento turbato. Mi chiedo come si possano tenere insieme in bello e il brutto del mondo, così distanti. Come si possa vivere la felicità, consapevoli delle sofferenze intorno oppure come si possa stare con questa consapevolezza senza perdere la gioia della vita. Talvolta l’indifferenza sembra la soluzione, ma non è così. E l’infelicità diffusa nelle società occidentali ne rappresenta l’evidenza.
Penso allora alle antiche dottrine orientali che definiscono la vita come insieme, come unione e non come separazione. La vita è nascita e morte, è l’insieme di tutti gli opposti. La vita è cambiamento continuo, è impermanenza. Il rifiuto di questo principio universale genera sofferenza, ovvero la non accettazione delle cose per quelle che sono. L’accettazione non è rassegnazione, come spesso viene fraintesa, ma è la consapevolezza di ciò che c’è, con limiti e possibilità. In questo senso la consapevolezza ha un valore estremamente pratico in quanto ci permette di muoverci responsabilmente a partire da ciò che c’è e nella direzione di ciò che riteniamo desiderabile e possibile (senza perderci nella frustrazione di ciò che dovrebbe ma che non è, o non è stato).
Ripenso alle chiare parole di Thich Nhat Hanh, che diceva:
È a causa della natura impermanente del dolore che possiamo trasformarlo.
È a causa della natura impermanente della felicità che dobbiamo coltivarla.